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Ita Marzotto

Per il Tor la speranza è dura a morire...

 

Il primo ritratto di questa nuova serie 2015 ‘Quelli del Tor’, apre con una runner che probabilmente il Tor … non lo farà. Per quanto la sua lista d’attesa si stia accorciando: i 64 che aveva davanti alcune settimane fa sono diventati al momento una ventina, e ora dell’estate, dice lei, non si sa mai.

Intanto lei, Ita Marzotto, veneta d’origine e toscana d’adozione, gli allenamenti li continua, e in grande stile, non c’è che dire. Infatti sta facendo zaino e bagagli per quella gara australiana che si chiama The Track Outback Race, vale a dire 520 chilometri nel cuore più arido e affascinante del vasto Paese oceanico. Una dura, durissima prova da percorrere in 9 giorni e in totale autosufficienza.

Niente male per questa imprenditrice residente a Lucignano (Arezzo) madre di tre figli ormai grandi, che ha iniziato a correre a 48 anni, esordendo in un paio di maratone su strada (subito puntando in alto: Firenze e New York, con classifiche brillanti in entrambi i casi) per poi passare rapidamente ai trail su lunghe e lunghissime distanze. Tra le pareti dolomitiche, sulle creste appenniniche dell’Italia centrale ma anche tra le Montagne Rocciose americane, nelle lande ghiacciate d’Islanda e nei i deserti africani. Finendo pure sul podio.

Ma poi c’è il Tor…

“Si, è la mia gara mito. Perché si svolge in un ambiente naturale incomparabile e con una ottima organizzazione alle spalle che ti fa sentire sicura ad ogni passo e in ogni momento. Poi perché molti runner che conosco bene, anche se sono in questo ambiente da meno di quattro anni, me l’hanno descritta come una grande, forse unica, esperienza di vita. Insomma, non posso farmela mancare. Se non riuscirò quest’anno ci riproverò di sicuro per quello successivo”.

Intanto macini chilometri e chilometri, oltre all’Australia.

“Si, ho la fortuna di abitare in campagna e di fare base alla Podistica Il Campino, di Castiglion Fiorentino, dove ho trovato molti amici esperti, capaci di motivarmi, e un giovane coach che non guarda ai fronzoli ma alla sostanza. Correre, correre, correre. In più sono nella compagnia di alcuni runner di Perugia con i quali facciamo spesso lunghi trail autogestiti sui Monti Sibillini o tra i Monti della Laga, ottimi per fare quota in quanto numerose cime superano i duemila metri”.

Lo sport e l’avventura sono una specie di eredità di famiglia.

“Penso di sì. Mio padre ha vinto da giovane i Campionati Europei di sci nautico senza aver mai messo gli sci d’acqua fino a sette-otto mesi prima di quella competizione. Mia madre, che alleva cavalli da sella, è erede di una famiglia di coloni inglesi che fu tra i fondatori della Compagnia delle Indie; io ho una lunga pratica di equitazione, mio fratello attraversa gli Oceani in barca a vela, due miei zii hanno vinto più volte la Mille Miglia”.

Di questa passione assolutamente prorompente per il trail venuta fuori in età non più ‘adolescenziale’, i tuoi tre figli cosa dicono?

"Sono entusiasti. Spesso mi accompagnano, mi incitano, mi fanno da sostegno anche pratico. Il più piccolo dei tre, che adesso ha 18 anni, è orgoglioso di avere una mamma che corre più veloce dei suoi coetanei. Gli spiego che c’è un po’ di differenza tra il correre veloce il correre a lungo. Ha da poco preso la patente e con un vecchio Defender ereditato dallo zio velista mi porta fin dove le macchine normali non riescono ad arrivare e viene a prendermi sul versante opposto delle montagne”.

Aggiornato: Gio, 23/04/2015 - 22:58