TORX Trail Running Races 6-15 Settembre 2024

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Lontano, davanti agli occhi

“il mio traguardo possibile”

Racconto inedito
di Mauro Olivero
finisher al Tor des Géants 2011 (pettorale 214)

 

Settembre 2011, non so che giorno e non so a che ora.

“Accidenti!... ma l’11 c’è il Tor des Géants e sono iscritto!…”
Vado su domenica mattina o sabato pomeriggio?  Ma poi, che ci vado a fare? E gli allenamenti ?  Già, gli allenamenti… Ma che allenamento ci vuole per fare una gara che dura una settimana, giorno e notte? E i km? Sono 332, ma non ho paragoni. Da dove iniziano e dove finiscono? Ok Courmayeur, ma in mezzo?

E poi sono 24.000 i metri di salita e discesa, cioè, tanto per fare un paragone vicino casa,  24 volte da Albisola al Monte Beigua e ritorno. E non credo di esser salito 24 volte al Beigua in tutta la mia vita!

Bene: non ci vado! … E invece sì, c’è un’iscrizione e una maglia da ritirare, e poi a casa le figlie che dicono di andarci o farla finita!
Per tutto questo, e per molto altro ancora, mi viene in mente Cesare al passaggio del Rubicone e, ormai deciso oltre misura, ripeto a me stesso la famosa: “Alea iacta est”!

Parto sabato, per poter riposare la notte in albergo dall’amico Maurizio. Arrivo a ‘Courma’ in serata, giusto in tempo per il tradizionale pasta party, trascorso in ottima compagnia con Giò 62 e altri amici. Poi torno in albergo e impiego un’ora buona a fare e disfare il borsone che, secondo gli organizzatori, ritroverò alle sette basi vita del percorso.

A proposito del percorso: lo conosco, per aver corso il Valdigne, fino al rifugio Deffeyes, ma poi, il nulla… O meglio, tanti nomi, famosi e non, di colli, rifugi, paesi e valli. D’accordo, 100 km si possono fare: sono un obiettivo raggiungibile e, sulla carta, sono in realtà l’arrivo a Cogne! Ecco, quello sarà il mio obiettivo! Così nello zaino, col materiale obbligatorio, porto solamente il road book delle prime due tappe, che prevede l’arrivo a Cogne.

Ma ora via, a nanna, per una notte passata stranamente in tranquillità nonostante la ovvia carica emotiva. Quindi sveglia, doccia e colazione, durante la quale faccio conoscenza con altri due liguri di Sanremo, tra cui il “nonno” 72enne del Tor 2011, che ostenta fiducia da vendere e mi trasmette un bel po’ di quell’ottimismo che non guasta mai. Anche perché alla spedizione ci sono arrivato da solo e il morale non è  proprio alle stelle. Soffro la mancanza dei compañeros di tante gite domenicali: Enzo, Roby e Sabry che sono rimasti a casa a preparare altre avventure. Mentre di iscritti al Tor ne conosco in pratica solo due: il genovese Francesco e il già menzionato Gio’ 62, da Rovereto. Così, in mezzo ad un gruppo di Catalani, mi avvio al piazzale della partenza, un po’ stranito e un po’ orgoglioso di esserci.

Alla griglia di partenza i battiti del cuore cominciano ad aumentare e a salire di volume, alti come la musica e le parole dello speaker. Tra i tanti volti riconosco Nando dei Gorrei ed il solo fatto di aver ritrovato una faccia conosciuta mi dà la carica. Ma ecco che arriva anche Francesco e, dietro le transenne, Stefano e Raffaella: adesso sono davvero pronto e, senza quasi rendermene conto, siamo già a corricchiare tra due ali di folla urlante e ammiccante. Courmayeur era proprio ben disposta per salutare i partecipanti a questa follia che è il Tor.

(…) Ci corre accanto l’amico Stefano, incitandoci fino all’imbocco del sentiero 1A: destinazione Col d’Arp. Superiamo il bosco e saliamo su, verso i prati, dove una mandria di cavalli allo stato brado si diverte a tagliare e ritagliare il serpentone. Al colle risuonano i campanacci, in breve lo superiamo: meno uno!
Discesa tranquilla dove stacco leggermente Francesco e mi ritrovo con Pietro, finisher 2010, che mi ripete di non pensare a quel che verrà e che la prima tappa è quella peggiore, per via dell’ansia da prestazione e per mille altri piccoli particolari che ti fanno sentire in gara, ma non ancora nel Tor.

Al ristoro di La Thuile mi raggiunge Francesco, ritroviamo Sonia che ci rifornisce di bende e compeed: non si sa mai, il viaggio è lungo. Si riparte: sentiero per il Rifugio Deffeyes, dove troviamo un panorama mozzafiato sul Ghiacciaio del Rutor, e poi via, verso il prossimo obiettivo del Passo Alto, dove arriviamo sotto un cielo plumbeo che non promette nulla di buono. Discesa verso l’Alpeggio di Promoud e poi salita al Crosatie, bella tosta,  sotto la pioggia e i lampi che fortunatamente sono un po’ più in là rispetto alla nostra posizione. Ora comincio ad avere freddo, mi copro, ma non risolvo granché. Lo stomaco comincia a farsi sentire con un’indesiderata (chiamasi nausea). Pietre nere, cielo nero e umore nero… Ma dove vado? Una lunga discesa che non ricordo molto bene mi porta a Planaval e, in falsopiano, fino a Valgrisenche: prima base vita!

Purtroppo la gioia di aver raggiunto la prima base vita fa a cazzotti con la sgradevole sensazione di essere al capolinea della mia avventura: lo stomaco in subbuglio, la stanchezza di una prima giornata così così. Comincio a far due conti: il cancello è domani alle 6.00, non sono neanche le 11.00 di sera, vado a dormire vediamo cosa succede. Non chiedo la sveglia perché spero di alzarmi da solo, in tempo utile, e per fortuna mi addormento quasi subito. Purtroppo mi risveglio anche presto, con la solita sgradevole nausea. L’orologio indica appena mezzanotte, così riprovo a dormire. Un’ altra sveglia: ancora nausea. Stavolta non guardo l’ora e mi rigiro.

La terza sveglia è quella buona, mi sento bene. Come fossi un vaso di cristallo mi alzo piano piano e mi rivesto… per ripartire. È proprio vero: sto bene! Adesso è frenesia: mangio della pasta velocemente, dicono che fuori piove a dirotto, ma a me, a questo punto, non importa. So che il giorno dopo sarà sereno, avrò tempo per asciugarmi.

(…) Esco, sono le due passate piove ma sto bene e sono sveglio. Affronto deciso la salita allo Chalet de l’Epée, poi sosta  per un tè caldo, o forse era caffè?... mentre lo scollinamento del Col Fenêtre avviene di buon passo e senza particolari sussulti. Nella discesa verso Rhèmes, la pioggia cala di intensità fino a cessare del tutto e arrivo nell’abitato che è già giorno. Le case, immobili nel verde e nella bruma mattutina, sembrano un’immagine uscita dal libro delle favole.
A fianco del ristoro c’è un locale con delle brandine, alcune vuote. Chiedo 15 minuti di riposo, non di più, e i volontari, ligi al dovere, mi richiamano esattamente un quarto d’ora dopo, né un minuto prima né un minuto dopo.
Colazione abbondante e si riparte, lo stomaco è a posto, il sole fà capolino dalle vette e io ho di nuovo una bella salita da affrontare, fino ai 3003 metri del bellissimo Col Entrelor. Tutto ok. Arrivo verso l’ora di pranzo all’abitato di Eaux Rousses, ristoro e altri 15 minuti di branda, stavolta in una stanza adibita a dormitorio con letti a castello. I miei compagni di pennichella sono tutti spagnoli, evidentemente viaggiano in gruppo. Io non riesco a viaggiare in compagnia, troppe variabili non mi permettono questa soluzione, dimostrandomi, se ce ne fosse ancora bisogno, di essere un “orso” vero.

Riparto rinfrancato dal “riposino” per attaccare la salita al Col Loson, tetto del Tor, con i suoi 3298 mt. Un volontario sostiene che è meno dura di quella al Col Entrelor, appena fatta, staremo a vedere! (…) Il percorso si snoda tutto all’interno  del Parco Nazionale del Gran Paradiso, dove un bel vallone con tanta acqua e, oserei dire, mandrie di stambecchi al pascolo, fanno da aperitivo al rampone che porta al Colle, con ampi tornanti che evitano la salita ripida e diretta, ma la rendono interminabile.

Scollino il Col Loson e, sotto un cielo blu come non l’avevo mai visto, affronto la discesa con cautela, per via di alcuni tratti esposti. Ormai all’imbrunire raggiungo il Rifugio Sella e comincio a sentire un po’ la stanchezza, ma decido di non fermarmi perché la prossima branda sarà a Cogne: il ‘mio traguardo possibile’, quello dei 100 Km, la seconda base vita, quello che mi ero detto e ripetuto “arrivo a Cogne e poi… il nulla, non so niente del percorso, non ho road-book, non lo conosco, so solo che si deve arrivare a Donnas e risalire tutta la Val d’Aosta fino a Courmayeur…”
Però, intanto, faccio una bella doccia, mi gratifico con un lauto pasto e mi infilo sotto le coperte e… al risveglio si vedrà!

Ed ecco che il mio ‘neurone’ riposa, ma non dorme. Pensa, si sveglia,  mi risveglia e mi forza a ripartire, stranamente fresco e riposato, a riprendere la strada, mentre al volo raccolgo una cartina dell’organizzazione per vedere dove mi porterà l’avventura. Cambio anche scarpe, purtroppo quelle che indosso si sono letteralmente sfasciate e i talloni bruciano. Metto le mie gloriose ‘pantofole’ Trabuco, con tanto di suola consumata e buchi, tanto da sembrare un Groviera, ma… qui siamo in Val d’Aosta e hanno ancora un duro lavoro da compiere. Lascio la base e, per la prima volta, controllo la posizione di classifica: 227° … Però!

Prossimo paese Lillaz. Non è ancora mezzanotte, qualche impavido ci applaude. Dalla piazza del paese parte una ripida salita che ci porta prima alla Baita di Goilles e poi ai 2500 metri del Rifugio Sogno. Sto talmente bene che a Goilles vado di birra, al Sogno di tutto e di più: mi permetto il lusso di due giri di tavolo, con piatti a base di carne, zuppa, dolci al terzo giro. Poi… mi vergogno un pò, saluto in tutta fretta e mi lancio letteralmente fuori, pieno di energie, sotto una volta disseminata di stelle. Ora si valica il Col Fenêtre, oltre i 2800 mt.  E, secondo la cartina, inizia una lunga discesa che dovrebbe portarci al punto più basso dell’intero Tor: la base vita di Donnas, 330 mt appena.

In discesa, aspettando l’alba, comincio a sentire la pesantezza delle palpebre e penso alla branda che mi aspetta al Rifugio Dondena, dove arrivo effettivamente un po’ provato e ciondolante: un caffè abbondante, la sosta tecnica, un po’ di mocetta con fontina, mi danno però quel minimo di carica per proseguire fino al prossimo ristoro, che l’alba e la luce del sole mi fanno letteralmente saltare. (…) Vengo affiancato da un francese di Evian che… riesce a farmi correre! Incredulo riesco a stare al passo, mentre mentalmente ripercorro il tragitto fatto fino a quel punto e mi accorgo che son passati  due giorni e due notti… e corro ancora!

Dopo l’abitato uno scherzo dell’organizzazione: la strada non scende più, ma si inerpica in un bosco di castagni. Sembra quasi di essere nell’Appennino ligure, praticamente sopra casa. Ne usciamo ad Hône, attraversiamo la Dora, accarezziamo il Forte di Bard e, lungo la vecchia via romana, arriviamo a Donnas. Faccio quest’ultimo pezzo in compagnia di un ‘ragazzo’ cinquantenne trentino, fisico asciutto, sicuramente atleta in altri sport, quali mountan bike e sci di fondo, ma che ha deciso di esordire nei trail, nientepopodimenochè al Tor des Géants! Chapeau Marco!

(…) Salita in mezzo ai vigneti, poi bosco e discesa al paesino di Perloz dove ci accolgono i soliti fantastici volontari del ristoro e una banda di ragazzi del luogo che fanno di tutto per incoraggiarci... e ci riescono molto bene. Avanti così... giù nel torrente e su a Tour d’Hereraz e poi su, su. Un campanaccio mi risveglia dal torpore e ritorno alla realtà con una bella birra: sono al Rifugio Sassa.

Adesso si sale ancora, sempre di più, si deve arrivare al Rifugio Coda al 165° km, cioè appena a metà percorso! (…) Saggiamente, mi concedo mezz’ora di sonno nella confortevole stanza ‘Castore’. Io sto bene, si sta bene, l’aria frizzante ma non fredda, la splendida vista sul biellese illuminato. Riparto senza sapere bene che cosa la notte mi riserva.

(…) La cartina mi dice che c’è il Col Marmontana da affrontare, ma il sentiero ad un certo punto sparisce. Allora cerco le bandierine che riflettono alla luce della frontale, questo esercizio mi tiene sveglio e procedo spedito. (…) D’improvviso una pietra obliqua si staglia contro il cielo ‘stra-puntato’ di stelle: è la Crenna du Leui, a 2300 mt. passo nella spaccatura e… mi vengono le vertigini. Sotto i piedi, molto sotto, le luci di un abitato. Mi fermo un attimo a gustarmi il posto, ho perso la cognizione del tempo, sto viaggiando su una nuvola fuori dal tempo e dallo spazio. Rinsavisco e mi fiondo giù, lungo gli stretti tornanti del sentiero, che sparisce di nuovo tra la pietraia. Ad un certo punto mi viene incontro un volontario che mi rassicura sul percorso: lui, sta facendo la spola col Colle della Vecchia, perché l’anno scorso parecchia gente ha perso la strada in quel punto. (…) In breve raggiungo il gabbiotto dei volontari nei pressi del Colle: pieno di concorrenti ‘tra le braccia di Morfeo’, ma c’è un bel fuoco caldo che invita ad una sosta. Bevo, mangio e mi siedo ad assaporarmi la serenata (in realtà sono quasi le 4.00 di mattina). Che notte fantastica!

Riprendo la discesa per il prossimo ristoro, il Niel. Dove arrivo alle prime luci del mattino. Al controllo non credo ai miei occhi: ora sono 150° assoluto! La testa, che ancora ragiona alla grande, insiste per un bel sonnellino. Chiedo una branda e mi portano in una tenda. Adesso comincio ad avere freddo, due coperte sono appena sufficienti, ma riesco comunque a dormire un po’: 20, 30, 40 minuti?! Non lo so, ma non importa, l’importante è esserci ancora, con la testa, con le gambe, con il cuore! E si riparte.

È la volta del Col de Lazoney, un altro 2300 mt. Stavolta ho un compagno di viaggio, il simpaticissimo Roberto. (…) Al ristoro di Ober Loo ci accolgono con la fisarmonica e ci chiedono se gradiamo dei ravioli in brodo. Ci guardiamo in faccia, ci chiediamo se siamo in Paradiso o dove. Oltre ai ravioli una tavolata di formaggi di qualità e bontà inspiegabili (li ho assaggiati quasi tutti). Roberto s’intrattiene con alcuni conoscenti mentre io proseguo, implacabile come il destino.

Gressoney è alle porte. Ci arrivo assieme ad una concorrente giapponese dal pettorale n. 555, che zoppica vistosamente, ma che mi fa ampi sorrisi, come se fosse del tutto indifferente al suo claudicare. Sembra che la festa sia comunque lì. Scoprirò, poi, che riuscirà, nonostante tutto, nell’impresa. Complimenti per la determinazione.

(…) In questi giorni ho ricevuto tantissimi messaggi di incoraggiamento dagli amici. Non credo che si rendano conto veramente di quanta energia infondano questi sms. Mi concedo una telefonata più lunga del solito a casa, dove Liliana e le bimbe, sotto sotto, stanno facendo il tifo per me. (Al ritorno ho trovato fogli di carta pieni di orari con i tempi dei passaggi, degni dei migliori road book). Sono sempre il mio punto d’appoggio più importante.

È l’1.00, è tempo di andare, il Rifugio Alpenzu ci attende, nonché il col Pinter a 2776 mt. Subito dopo l’uscita, in una scarpata erbosa, trovo due ‘icone degli ultratrail’: Giancarla e Giorgio, che si godono un meritato riposo. Non li sveglio e li supero, per adesso.
La salita all’Alpenzu mi è ostica, ma comunque ci arrivo, veloce rifornimento  e via. Il sentiero si sviluppa su per pascoli di un largo vallone alpino costellato di baite e mucche: ma quanto sono belle le mucche da queste parti?! Quasi sul colle vengo raggiunto dalla Gianca e da Giorgio, che patisce un po’ la quota, e resta indietro. Chiacchieriamo e, in preda a una sorta di euforia, procediamo a passo spedito con una sensazione strana: oramai ce l’abbiamo fatta. Follia pura… mancano ancora 120 km e chissà quanto in termini di ore e dislivello da percorrere…

Ci fermiamo ad un ristoro presso una baita, subito dopo il Rifugio Crest. Giancarla decide di aspettare Giorgio, io di uscire subito. Il gestore mi accompagnerà per un tratto facendomi gli auguri di buon proseguimento, prima di lasciarmi. Ormai è di nuovo, quasi sera. Mi viene incontro il villaggio delle guide Frachey,  lo attraverso, non vedo anima viva. Non c’è nessuno, mi volto da ogni parte ma non c’è nessuno… Davanti nessuno… Il cervello in pappa… Mi sto chiedendo se quello che sto  vivendo sia reale.  Ma certo che è vero, ci sono le bandierine  “TDG”! Però, forse sono quelle dell’anno scorso e  ho sbagliato strada… Proseguo in discesa: nessuno… Il neurone è annegato… Prime case di St. Jacques: tutte chiuse. È tutto un sogno, penso.
Finalmente un cagnolino mi corre incontro abbaiando in brutta maniera, mai visto un cane più bello! Entro in paese e c’è lo striscione ‘ceck-point’ Tor des Géants, ma nessuno in vista. Panico! Piano piano apro la porta. Urlo: “Ci siete?” Facce stupite si girano e io… torno alla realtà… No, non è niente, niente, allucinazioni da stress!? “Per caso  avete un letto?”

Riparto con la frontale accesa, oramai è notte, ma forse il peggio è passato: ho dormito, ho mangiato, sono sufficientemente lucido, si fa per dire! Si risale al Rifugio Grand Tournalin,  risalgo il bel sentiero sotto l’ennesima notte stellata. Sulla sinistra la montagna che riflette. Mi giro e vedo sotto di me, intorno a me, centinaia di rivoli d’acqua resi argentei dalla luce di una luna splendida. Così, quasi senza rendermene conto, arrivo al rifugio che è notte fonda, ma trovo tanti concorrenti, vispi e bellicosi, che si rifocillano con una pasta appetitosa. Su una panca, un po’ appartata, vedo una figura familiare. È lui o non è lui? Ma certo: Francesco. Ci eravamo sentiti via sms e lo credevo in fuga ad ore da me. Stava pagando dazio al sonno. Per fortuna si è svegliato quando mi sono avvicinato, così abbiamo proseguito insieme. (…)

Si ricomincia, si risale al Rifugio Barmasse dove arriviamo per fare una robusta e sana colazione. Avanti per pascoli  all’attacco della Finestra d’Ersa, un passaggio a 2300 mt circa, che offre lo spettacolo del Cervino, ora alle nostre spalle, irradiato dal sole del mattino e troneggiante su tutti noi, piccole formiche che affannose cercano di conquistare chissà quale premio.

Al ristoro di Vareton in effetti ci premiano con la seconda abbondante colazione della mattinata a base di fontina. Da qui inizia un tratto forse tra i più belli di quelli percorsi, anche se è davvero difficile scegliere. La giornata, da gelida che era alle prime luci, si prospetta calda e asciutta, soprattutto abbiamo di fronte una serie di passaggi, uno più bello dell’altro ad oltre 2500 mt. Si inizia con la Finestra di Tzan, l’apice della bellezza della montagna! Da solo, questo posto ‘vale il prezzo del biglietto’. Ripida discesa, veloce risalita al Bivacco Reboulaz. (…)

Saluto e riprendo Col Terray. Una breve salita, passo veloce, respiro pieno e battiti regolari, le gambe girano, è un momento di grazia. Sali e scendi in un paesaggio incredibile, in rapida sequenza Rifugio Cuney, (pasta e birra), Bivacco Clarimont, Col Vessonaz, dove raggiungo un'altra volta Giancarla, dopo esserci separati. Ma stavolta sono in palla: in discesa vado, vado; mi fermo solo all’ultimo strappo, prima del Ristoro di Closè,  dove c’è una tenda della Croce Rossa con brande libere. Decido di prendermene una per mezz’ora, prima della base vita di Ollomont, per la quale c’è ancora un dislivello di mille metri da superare. (…) E’ la sesta base vita, nella frazione Rey. Qui troviamo il tendone e i volontari che si affannano a procurarci il pasto caldo e a darci istruzioni  per la doccia. Ahi,ahi,ahi… il gabbiotto doccia è praticamente all’aperto… ma fa lo stesso: doccia sia!

Mi lavo, mangio, ma adesso non so cosa fare: ho visto la mia posizione al computer : 110 °. Dicono che per arrivare a Courma ci vogliono meno di 20 ore. Facendo un rapido calcolo vorrebbe dire arrivare di Venerdì. Mi sta ‘salendo la scimmia’. Il mio neurone in un attimo di lucidità mi obbliga comunque ad andare a riposare, e così provo a fare. Non so se sia il freddo, non so se la stanchezza o che cosa, ma non riesco a stare sulla branda. Le gambe urlano di dolore, il costato anche, mi stanno venendo i brividi… Basta! Esco!

La salita al Rifugio Letey è una sorta di escursione fantozziana. Gli occhi che si chiudono, il freddo nelle ossa. Arrivo al rifugio e mi getto sul tavolo per dormire. Dico ai gestori che li conosco e che sono già stato da loro… chissà mai in quale vita. Per fortuna un paio di caffè caldi mi ridanno un po’ di lucidità, non riesco a prendere sonno e quindi decido di ripartire. Fuori un vento gelido mi fa venire i brividi, le gambe funzionano e aggredisco la salita al Col Champillon a pancia bassa e fiato corto.

Scollino e inizio la discesa, non so come. Non so se la frontale stia per esaurirsi, non so se sto scendendo a occhi chiusi, o forse sarebbe meglio dire rotolando, so soltanto che, dopo un tempo che mi è parso interminabile, arrivo all’alpeggio di Ponteille Desot, dove chiedo ai volontari se c’è un posto letto. Ma certo che c’è:  mi guidano direttamente in casa del pastore dove stanno facendo il formaggio. L’aria è satura i odori forti, è irrespirabile. Per un secondo, mi viene la voglia di scappare… ma il bisogno di riposo è più forte. La volta è bassa, la finestra con le sbarre non più grande di un quadro. Mi sembra tutto surreale: mi sembra di essere nella cella del Conte di Montecristo! Devo dormire! Per fortuna ci riesco. Almeno per un’ora. Quando mi risvegliano mi soffermo al banchetto dei ristori e mangio con calma, non del formaggio per favore… Riparto, è ancora notte, mi attendono 10 km circa di falsopiano su strada bianca.

Ben presto la stanchezza riprende il sopravvento e avanzo a fatica e con sbandamenti vari. (…) e la quinta notte è andata! Arrivo a Bosses circa alle 8.00: ci fanno i complimenti, ci dicono che è fatta. Sarà anche vero, ma c’è ancora un 2936 mt da scalare! Anche se ora urge solo fare colazione.

Esce il sole, il sonno è incredibilmente sparito e si può ripartire. Il falsopiano è in salita verso le località di Merdeux, dove scopriamo presto che il nome è probabilmente dovuto all’acquitrino che ci tocca attraversare. Ma oramai sento solo un profumo: quello del compimento dell’impresa! Altro che Merdeux! A Bosses il passaggio mi dava 97°, incredibilmente nei 100! La mia anima agonistica si risveglia, insieme alle vesciche che mi si stanno formando sotto i piedi. Testa bassa, l’obiettivo è là davanti… un po’ in alto, ma davanti agli occhi.

Alcuni concorrenti mi stavano superando: addio centesimo posto! I pensieri vagano dalla famiglia agli amici: chissà se qualcuno mi sta seguendo? Chissà se arriverò a Courma? … Intanto al Col Malatrà ci sono. Eccome! Gli ultimi appoggi sui ferri piantati nella pietra. Alcuni escursionisti venuti fin lì a farci coraggio… il groppo in gola, dalla finestra del Malatrà... il massiccio del Monte Bianco... la Val Ferret… Courma…

Urlo qualcosa, dò il cinque al malcapitato che ho di fronte, abbraccerei tutti, ma mi fiondo in discesa nella polvere nera, che è il terriccio di questo splendido passo alpino. Adesso sono ‘nel mio’, si scende non mi deve prendere più nessuno! Presto però faccio i conti con i piedi che non ne vogliono più sapere e mi costringono a rallentare più volte. Arriva il Bonatti e il controllo: vediamo… 100°! Un colpo! Non devo più perdere terreno, posso farcela!

Passo tra i tavoli del rifugio è ora di pranzo e sono tutti occupati. Mi prendo due minuti di applausi e incoraggiamenti dai commensali. Il mio orgoglio è schizzato alle stelle. Ma non è finita. Sento al telefono Henry, che mi chiede notizie. Gli urlo, con un filo di illusione, che sono quasi arrivato. Dopo un po’ mi telefona Enzo e mi chiede che tempo fa, perché dov’è lui c’è il sole. Roberto mi chiama e mi dice come va, di stringere i denti e di fargli sapere quando arrivo. Intanto salgo e scendo, ma del Bertone  ancora nessuna… e invece no… riconosco l’ultima gobba, inizia la discesa… il Bertone!  Raggiungo due francesi che mi fanno i complimenti e mi prendono in giro per le mie scarpe aperte. Il fotografo fa perfino un primo piano a cotante calzature. Peccato non averlo in seguito rintracciato per chiedergli quelle immagini…

Adesso devo rilassarmi, da qui non posso fallire: lascio partire i francesi, riesco a bermi ancora una birra e mangiucchio qualcosa. Mi sovviene che stavo cercando la 100° posizione, sarà meglio che mi sbrighi prima che arrivi qualcuno. Ora discesa, gran dolore ai piedi, anche se a questo punto: chissenefrega, si tira avanti fino alla morte! Prime case di Courma, asfalto, discesa, i primi applausi, la chiesetta. Ragazzi che urlano e suonano i campanacci, ebbrezza indicibile!  Entro nel cuore del paese, la gente mi sostiene. Un piccolo dolore fa spuntare una lacrima, pensando di non trovare le mie donne all’arrivo, Liliana e le bimbe, causa l’inizio delle scuole. Dunque sarò solo con la mia gioia, non potrò condividerla con nessuno… ma va bene lo stesso.

Intravedo il tappeto rosso dell’arrivo, sento lo speaker e, all’improvviso, mi appaiono i volti di  Roberto, Sabrina, Enzo, Paolo, gli amici di tante avventure, che urlano. Ma sì, sono venuti apposta per me, mi hanno fatto la sorpresa più bella del mondo!

Ora c’è posto solo per le lacrime, per la gioia. Una bottiglia a cui salta un tappo, la firma sul tabellone dei finisher…
Tutto il resto è… lontano.

Aggiornato: Dom, 26/08/2012 - 15:03